flui | | fui | | qui | | sui | | vui | | abbui | | altrui | | apprui | | bui | | colui | | costui | | cui | | dui | | estrui | | estui | | frui | | lui | | pfui | | pui | | rabbui | | rifui | | scombui | | sui | | tui | | allelui | | codestui | | cotestui | | imprui | | indui | | semibui | | ambedui | | ambidui | | amendui | | malestrui | | tramendui | | intramendui | |
| 500 endecasillabi classici rimano con estrui: | | Tai son le lingue mutole con cui | E così accorda gli stromenti sui | Ed egli a lei sospira ed ella a lui | e la gloria rapir presume altrui | Il Saca e'l Battrian soggiace a lui, | Vien Luciferno il fier dopo costui, | senon vi fusse quel degli occhi sui. | che potrebbe abbagliar la vista altrui, | sia la tua gloria e la salute altrui. - | ch'elegger sappia almen suggetto in cui | di qua, di là da dui ministri e dui | ma però che la forza è scema in lui | La corona e lo scettro ha in man costui | ciascun risguarda, adopra il mezzo altrui. | ma perché gli atti e i movimenti sui | il celeste orator la tien per lui, | d'attraversar nela partita altrui. | e l'alato fanciullo, infra lor dui | ch'accontato quel di s'era con lui. | Sidonio il vide e vide esser colui | Sia pur chi vuol, né di tutela altrui | che'n periglio mortal d'entrar per lui | Imaginar non sa chi sia costui, | dicea ciascuno aprova, 'io sono, io fui'. | ch'appropriando a sé la colpa altrui | In me diletto ed utile in altrui | la malizia senil tentava in lui | Erbosco a ciò non ponea mente a cui | sacrilego crudel, condotto io fui, | persegui i cori ed incateni altrui? | fia che vaglia a sottrarne ai lacci tui, | né cura aver dela sorella altrui | Ma convien che costei ceda a colui | Con lo sprone e col fren fan lite in lui | a dargli parte de' successi sui, | Ei, rivolto a colei ch'era colui, | Tutti d'un voto acconsentiro a lui | aquila e lince a saettare altrui. - | Cieco l'un, cieca l'altra, ed ambidui | te sol torrei come sol degno a cui | anzi un freddo spadon qual'è costui | Senon che certo assecurata io fui | io non ho core e lo mio cor n'ha dui | l'aviva sì ch'egli ha sol vita in lui. | impiagato il mio cor vive in altrui. | più l'amor mio che la perfidia altrui? | tolta al mio sposo e soggiogata a lui? | dela mia fede assecurar costui, | Sempre accompagna il sol, né mai da lui | vien Morte iniqua a trionfar di lui. | pria ch'egli vada a trionfar d'altrui | ch'apparisce e sparisce agli occhi altrui | Vedi ch'apunto ne' sembianti sui | Il paese de' sogni è questo a cui | Il Tago e'l Gange irrigheran per lui | fia che tra' gigli d'or sol per costui | Oltre il buon zelo e la giustizia, a cui | ricovrar mi devessi, in dubbio fui. | Ma lung'ora però del loco, in cui | e seben io tra que' miglior non fui, | prendendo a scherno i bei sudori altrui, | Ma questo è il men, senon che'l vulgo, a cui | Fileno ha nome, e dal'insidie altrui | - È de' nostri (risponde) Amor di lui | Chiede a Venere Adon chi sia colui | ch'Adon fia sempre tuo, né mai d'altrui, | giuro per gli occhi e per le chiome, in cui | Per quella face ond'infiammato io fui | per invidia dannar suole in altrui. | e'l ben che di goder si vieta a lui | che pur sempre del vero amico fui | la libertà del sindicare altrui; | e lo spirto gentil ch'io scorgo in lui | e, com'è stil de' coetanei sui, | e piangea nel'andar, come colui | Iva ala scola, a quella scola in cui | per dar la morte a chi si fida in lui. | e cieco è sol però ch'accieca altrui | Caraccio a Febo caro e tu con lui | poiché gemino lume e quasi dui | E voi, Bronzino e Pasignan, per cui | un sol guardo di lei trafige lui; | ché, sel folgore suo percote altrui, | se grazia o ferità prevaglia in lui. | Di sé s'appaga e lascia in dubbio altrui | Ch'io deggia sopportar crede costui | quando diedi primier notizia a lui | E forse ch'io ministra anco non fui | siché mirando un cor quel bello, a cui | dico que' lumi perfidi, ch'altrui | Veggio doppio oriente e veggio dui | che generolla, generato io fui. | fu la mia genitrice e da colui | se l'onta che mi fè ricade in lui; | vergognosa materia al riso altrui. | del grave oltraggio onde delusa fui, | Ma mi convien, com'ammonito fui | concederei questo bel pomo a vui, | Ben volentier, se senza ingiuria altrui | libero, a cui, nonch'altri, anch'io soggiacqui? | seben dal ventre suo concetto io nacqui? | mill'onte gravi io mi soffersi e tacqui, | e s'egli col suo vino agita altrui, | io posso col mio strale agitar lui. | Clizia, da cui già tanto amato fui, | a me volgeasi ed io volgeami a lui. | mentr'io racconto, ahi sfortunato! altrui | le delizie e i piacer ch'ebbi con lui? | Ma se di me, che troppo incauto fui, | portami almeno al mio signor, da cui | Forma umana favella e narra a lui | senza sospetto alcun d'insidia altrui | stavasi sola a trattener con lui. | onde in quel punto addolorata io fui; | così facil non è come l'altrui. | tutto il mar distillar deggio per lui | Sentendo nel bravar che fa colui | benché debil di forze, incontr'a lui | né senza tema e meraviglia altrui | Dà di piedi al destrier prima colui | Quel che porta il leon va dopo lui | Come alfin mi conobbe e come fui | lungo a dir fora e quali e quanti a lui | Questo però tacer non voglio altrui, | Comprender puoi dal'abito s'io nacqui | al'impero d'Amor mai non soggiacqui, | e di poter mostrar più mi compiacqui | basta solo assaggiarne un frutto o dui. | che ne confonde e ne satolla altrui; | l'Esperia, abondasi de' pomi sui, | Il gallo che li suole aprire altrui. | Teneri canti, e tu che mostri altrui | Di que' sì dolci suoi bambini altrui, | Non disdegnan sovente entrar con lui | Opportuno si vanta, e in grembo a lui | Seco susurra ignoti detti a cui | Ricordar le vicende; e con obliqui | Zelo d'arcani uficj: in van per lui | Tanta salute. A te sui servi altrui | Il gallo che li suole aprire altrui. | Soavi canti; e tu che insegni altrui | Di que' sì dolci suoi bambini altrui | Tal che securo sacerdote a lui | Non disdegnan sovente entrar con lui | Seco susurra ignoti detti, a cui | Ricordar le vicende; e con obliqui | Tanta salute. A te ne' servi altrui | Effuso rivelossi a gli occhi altrui. | Giovinetto intraprese. Ah chi di lui | De le Cinzie terrene i guardi obliqui. | Di contraria dolcezza i sensi altrui. | Signor che fai? Così dell'opre altrui | Al biondo Ganimede i guardi obliqui, | Sappi - rispose alla donna colui - | Sempre mai, in ogni lato dov'i' fui, | Tu hai cagion, ch'io non sarei colui | concederei questo bel pomo a vui, | Ma mi convien, com'ammonito fui | del grave oltraggio onde delusa fui, | vergognosa materia al riso altrui. | se l'onta che mi fè ricade in lui; | fu la mia genitrice e da colui | che generolla, generato io fui. | dico que' lumi perfidi, ch'altrui | siché mirando un cor quel bello, a cui | quando diedi primier notizia a lui | Ch'io deggia sopportar crede costui | se grazia o ferità prevaglia in lui. | ché, sel folgore suo percote altrui, | un sol guardo di lei trafige lui; | Caraccio a Febo caro e tu con lui | per dar la morte a chi si fida in lui. | la libertà del sindicare altrui; | che pur sempre del vero amico fui | per invidia dannar suole in altrui. | A dio, ti lascio; omai fin qui | Chiede a Venere Adon chi sia colui | Fileno ha nome, e dal'insidie altrui | Ma lung'ora però del loco, in cui | ricovrar mi devessi, in dubbio fui. | fia che tra' gigli d'or sol per costui | Il Tago e'l Gange irrigheran per lui | Il paese de' sogni è questo a cui | Vedi ch'apunto ne' sembianti sui | pria ch'egli vada a trionfar d'altrui | vien Morte iniqua a trionfar di lui. | dela mia fede assecurar costui, | tolta al mio sposo e soggiogata a lui? | più l'amor mio che la perfidia altrui? | impiagato il mio cor vive in altrui. | Senon che certo assecurata io fui | anzi un freddo spadon qual'è costui | te sol torrei come sol degno a cui | aquila e lince a saettare altrui. - | Tutti d'un voto acconsentiro a lui | Ei, rivolto a colei ch'era colui, | Ma convien che costei ceda a colui | né cura aver dela sorella altrui | persegui i cori ed incateni altrui? | sacrilego crudel, condotto io fui, | Erbosco a ciò non ponea mente a cui | la malizia senil tentava in lui | In me diletto ed utile in altrui | ch'appropriando a sé la colpa altrui | Imaginar non sa chi sia costui, | che'n periglio mortal d'entrar per lui | Sia pur chi vuol, né di tutela altrui | Sidonio il vide e vide esser colui | ch'accontato quel di s'era con lui. | il celeste orator la tien per lui, | ma perché gli atti e i movimenti sui | ma però che la forza è scema in lui | senon vi fusse quel degli occhi sui. | Vien Luciferno il fier dopo costui, | Il Saca e'l Battrian soggiace a lui, | Ed egli a lei sospira ed ella a lui | Tai son le lingue mutole con cui | io posso col mio strale agitar lui. | Clizia, da cui già tanto amato fui, | le delizie e i piacer ch'ebbi con lui? | Ma se di me, che troppo incauto fui, | portami almeno al mio signor, da cui | Forma umana favella e narra a lui | senza sospetto alcun d'insidia altrui | stavasi sola a trattener con lui. | onde in quel punto addolorata io fui; | così facil non è come l'altrui. | tutto il mar distillar deggio per lui | Sentendo nel bravar che fa colui | benché debil di forze, incontr'a lui | né senza tema e meraviglia altrui | Dà di piedi al destrier prima colui | Quel che porta il leon va dopo lui | Come alfin mi conobbe e come fui | Questo però tacer non voglio altrui, | che ne confonde e ne satolla altrui; | Che il regno suo dannavano, che a lui | Imbaldanziva favellando, e a lui | Serena luce? Or sia; poichè colui | Ingombran tutto; immensa torma, a cui | Carlo con tutti i Paladini sui | Belìal consigliava; e appresso lui | In nobiltate e in possa, e pur a lui | Tutti i prodigi abbominandi, a cui | Di lui che m'odia ad eseguir, di lui | Oggetto singolar, l'uomo, per cui | Sen giva errando quella coppia, in cui | Di questa carne mia, tu, senza cui | Da viril grazia e da saggezza, in cui | Or soltanto ti sta. Ma vieni, a lui, | Da lor fu colto, raccontaro. A lui | Quell'iniquo varcò; contrade, a cui | Or tu raduna, e quelle insiem di lui | Sì prega Adamo, e dolcemente a lui | Ad effetto recò, l'uom fe', per lui | Suo moto ed atto la malizia in lui | La debolezza e l'indulgenza altrui. | Perch'ero nudo e mi nascosi. - A lui | Complici del suo fallo al par con lui | Che usurpò ambizïosa i dritti altrui, | Poss'io moltiplicar se non le altrui | Ei spesso l'ora maledice, in cui | Intercessore, interprete per lui | Verso me la pietà; chè, mentre io fui | Ti verrà men, se non il cibo? - A lui | Però fra loro ei si scerrà, da cui | Meco ne vien che, se cagione io fui | giù per la scala correndo costui, | sarà stasera questa?». E inver lui | la cappellina che teneva lui; | Maestro, a voi no’ siàn venuti qui | Sia maladetto el ventre dove giacqui | Sia maladetto il giorno quando nacqui | della Fortuna o biastemar altrui? | dico: tanto gran mal cagion ne fui | che ella venissi in questi luoghi bui; | Certamente felice fia colui | Per dimostrar sua bella faccia a cui | Questo ardir, et disponsi al servir lui | Che via et modo non ho di lasciar lui | Et men pensier mi vien d'amar altrui. | Morte, come mai più senza costui | La vita mi è un morir senza di lui | Mentre che questi va incitando altrui | Più pietà si ritruova che in costui, | Che col suo falso nome inganna altrui ; | Nel cor, nè pietà prendeli di lui, | Nè vuol Amor donar triegua a costui. | Pigliar quanto ella, nè mutar altrui | Qual Fidia in marmi coi scolpelli sui, | Nè più lo lasci per seguir altrui. | Lasciò cader i genitali sui | Pluton traremmo fuor dei luoghi bui? | Sdegnasi il palladin ferrir colui | Et tuol la stanga, et poi contra colui | Liberò già dal fuoco, o quanto a lui | Me liberasse! Che una mano a dui | Che 'l cor con l'honor mio portò con lui. | Se accosta Zenodoro e a tutti dui | Pel nuovo giorno, onde risponde a lui | Che gratiosi ancor comprendo vui | Dubbio ho del regno mio, dubbio ho di vui, | Era valente cavallier costui | Acompagnato che si fu con lui, | ceder l'armi. Che più? Pugnan per lui | Ma l'indefesso Bonaparte, a cui | filosofando ornasti i pensier tui, | Ma di rincontro folgorando i sui | fratello! Oh quanto nell'udir mi piacqui | de' buon la speme, addio vi dissi, e giacqui! | parole Italia ne rampogni, in cui | Ma dimmi, o padre: chi da' marmi bui | amor, rispose, e dirò come il fui. | Canta il nocchiero e allegransi i propinqui | Con l'urne industri tanta valle, e pingui | Siete cortesi allor che dagli antiqui | Disse il giogante, quando giunse a lui: | Queste mense son messe per altrui, | va’ tosto, muovi, e la cagione altrui | ch’io femina era, e non disse da cui. | per trar d’errore voi ed anche altrui; | ben ch’io no’ ne sia degna come lui, | ch'a me dee molto, ed io niente a lui. | e son chiamato ingrato da colui, | i guerrieri, i compagni, i cugin sui: | in alcun modo d'oltraggiare altrui; | come fan quei, che sono eguali a lui, | oscura quanto può sempre in altrui. | e la chiara virtù che non è in lui | non gente né vertù ch'ei chiugga in lui, | ma il diviso voler che trova in vui. | senza che s'aggiungesse quel per cui | mille vite darei, salvando lui. | ché tale stringe ogn'uom timor di lui | ch'ei non sente se stesso, e meno altrui; | minacciando: “Or drizzato il torto altrui | non può ben giudicar come colui | che scerne il suo bisogno e quel d'altrui. | di ritrovarse in pruova contro a lui, | per la conforme età ch'è in ambedui, | Arturo, il nostro re prega che vui | lassando ogn'altro affar vegniate a lui, | e che d'esse adempir contento fui | voi quinci testimon ne appello e lui. | saran destrutti, e tutti ancisi i sui, | ove la tornerebbe, e 'n man di cui? | col gran re vostro padre in pruova fui, | e qual proprio figliuol parti' da lui. | che doppo un breve andar si torni a lui, | di sé medesmo misero o d'altrui | sian di se stesso o de i nemici sui, | con suo danno e disnor volesse a lui. | e per or seguitiam gli errori altrui, | di lassarse portar dal corso altrui, | che con gran faticar ponno ambedui | del popol folto e degli artigli sui, | e 'n modo opra con lor, che doppo lui | pon più securi andare i guerrier sui; | e pensar che Dio sol può senza altrui | ogni cosa adattar qual piace a lui. | e non la lingua, il gran valore altrui, | che sia morto o prigion racconta altrui, | Tristan, Boorte e i miglior duci sui: | fuggir ciascuno, e non saper da cui, | ove scorge l'insegna in forza altrui: | dà colpo fero, e non pur guarda a cui. | perché senso vital non resta in lui: | alla vera virtù, tien vil colui | se non dal busto in giù la parte, in cui | sta quel, ch'avanza al nutrimento altrui. | cosa, che molto amasse, senza lui; | ch'ei fosse Lancilotto a gli occhi altrui, | ei potesse supplir per ambedui | uscir vedreste allor che sol di lui | riconoscon l'impero e non d'altrui. | Or le prendete adunque e dite a lui | ché fia cotal, ch'ogni alta gloria altrui | e si conforti in contemplar de' sui | Il celeste Francesco era costui, | come il primiero ancora appar de' sui | ivi il saggio Merlino avea di lui | La nobil Gallia si vedea per lui | e contra i colpi e 'l vaneggiar d'altrui, | il cielo al suo venir; non quel ch'altrui | apertissimo è dato e chiuso a lui. | E quello alteramente sovra lui | nella qual raddoppiando i colpi sui | ma il Franco invitto, ch'ha virtude, in cui | il gran regio figliuol, questo e quei dui, | chi più d'ogni altro vivo è caro a lui: | e di molti altri amici e cugin sui | che poi ch'esser non può fra' primi dui, | ferma speranza avea di vincer lui. | «Miserere di me», gridai a lui, | Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, | di te mi loderò sovente a lui'. | 'O donna di virtù sola per cui | di quel ciel c'ha minor li cerchi sui, | vidi e conobbi l'ombra di colui | Incontanente intesi e certo fui | a Dio spiacenti e a' nemici sui. | per aver pace co' seguaci sui. | e poi mi fece intrare appresso lui; | Tosto che 'l duca e io nel legno fui, | de l'acqua più che non suol con altrui. | Ver è ch'altra fïata qua giù fui, | che richiamava l'ombre a' corpi sui. | mi pinser tra le sepulture a lui, | Com' io al piè de la sua tomba fui, | ch'io domandava il mio duca di lui, | Se Giove stanchi 'l suo fabbro da cui | onde l'ultimo dì percosso fui; | rispuoser tutti, «il satisfare altrui, | Però, se campi d'esti luoghi bui | quando ti gioverà dicere 'I' fui', | chi è più scellerato che colui | Drizza la testa, drizza, e vedi a cui | in giù son messo tanto perch' io fui | e falsamente già fu apposto altrui. | se mai sarai di fuor da' luoghi bui, | E tutti li altri che tu vedi qui, | sì ch'io esca d'un dubbio per costui; | Lo duca stette, e io dissi a colui | ch'i' mi sforzai carpando appresso lui, | A seder ci ponemmo ivi ambedui | che suole a riguardar giovare altrui. | «O gloria di Latin», disse, «per cui | o pregio etterno del loco ond' io fui, | sì ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui; | lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. | procacciam di salir pria che s'abbui, | Così disse il mio duca, e io con lui | e tosto ch'io al primo grado fui, | cinqu' anni non son vòlti infino a qui. | qual fosti meco, e qual io teco fui, | Di quella vita mi volse costui | Poi che di riguardar pasciuto fui, | con l'affermar che fa credere altrui. | mostrando li occhi giovanetti a lui, | Sì tosto come in su la soglia fui | questi si tolse a me, e diessi altrui. | ma fa sua voglia de la voglia altrui | così, poi che da essa preso fui, | com' esser posso più, ringrazio lui | Ma ditemi: che son li segni bui | Ma i Provenzai che fecer contra lui | qual si fa danno del ben fare altrui. | Buggea siede e la terra ond' io fui, | Folco mi disse quella gente a cui | di me s'imprenta, com' io fe' di lui; | Così quel lume: ond' io m'attesi a lui; | e quinci e quindi stupefatto fui; | la bella image che nel dolce frui | parea ciascuna rubinetto in cui | che ne' miei occhi rifrangesse lui. | né tardo, ma' ch'al parer di colui | Ma rivolgiti omai inverso altrui; | tre volte cinse me, sì com' io tacqui, | io avea detto: sì nel dir li piacqui! | Aiace d'Oïlèo. Contra costui | che, solo intente a logorar l'altrui, | assaliro in un tempo Acate e lui. | de le vostre marine o de l'altrui: | ed accorto di ciò non faccia altrui | saziar, mirando or gli suoi doni, or lui; | ch'io stesso il vidi, ed io gran parte fui | stava qual mi vedete. Ora son qui | ruina estrema (la qual sopra lui | il giovine Corèbo. Era costui | Andiam per luoghi solitari e bui: | o ch'io provassi, o che avvenisse altrui, | ch'immota, e cólta, e consacrata a lui, | di visitarlo, e di spïar da lui | tal è del ciel, de' fati e di colui | venia mercé chiedendo. Era costui, | schiva non fossi, solamente a lui | i miei sensi e 'l mio core, e solo in lui | porgi preci a gli dèi, fa' vezzi a lui, | ritirata da gli altri, è sol con lui | che fu padre di Maia, avo di lui, | E chi piú la mantiene? Era costui | sai d'esser seco e di trattar con lui; | Dilli che Dido io sono, e che non fui | e gittarlo nel mare? ancider lui | Sol restava Cloanto: e verso lui | dopo questi Dïòro. Era costui | cosí soggiunse: «Or che diria costui | che a te ne venga, e per tuo mezzo a lui | l'oscure profezie. Giva con lui | e de' piú segnalati intorno a lui | Ciò disse, e da furor spinta, con lui, | ché deluso da Febo unqua non fui, | de la tua vista. Ah, perché fuggi? e cui? | che gli altri tutti; e piú ch'a gli altri, a lui, | ne fia di pace il convenir con lui, | Enea, Enea mi vince. Ah se con lui | la guerra intuona: guerra dopo lui | diessi a' Sabini in parte. Era con lui | fulminando mandò ne' regni bui. | de' miei d'Arcadia, spedirò con lui, |
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