200 personaggi in cerca d



Le mie mani erano irrimediabilmente goffe e sempre sporche d’inchiostro. Per il futuro non avevano che il sogno vago di scrivere un libro di poesia. Fosse anche un solo libro in tutta la mia vita. Quelle di Konradin, invece, si presentavano ogni mattina bianche e pulite come possono essere le mani di un conte biondo ed elegante che abita una residenza inaccessibile. Konradin se le passava tra i capelli con cura. E subito dopo sulle pieghe dei pantaloni. Sembrava più grande d’età, e anche il suo modo di stare seduto e di sorridere era aristocratico, mentre io ero soltanto il figlio di un medico ebreo.
All’inizio, non avevamo in comune che l’adolescenza, una collezione di monete e la timidezza. Frequentavamo il Karl Alexander Gymnasium di Stoccarda. Ma la nostra amicizia aveva scelto un luogo e un anno sbagliati per nascere: la Germania del 1932.
Presto le foto di Hitler sui comò, gli obblighi di ceto e l’isteria della razza ci avrebbero scompagnati di nuovo nell’offesa e nella delusione. Io fui costretto a partire per l’America, per non assistere al suicidio di una nazione e a quello dei miei genitori. Per commiato, Konradin mi scrisse una lettera di fanatica adesione al nazismo.
Solo trent’anni dopo, ch’ero un ricco e scontento avvocato americano, la posta mi restituì una parte di ciò che avevo perduto: il nome del mio amico finalmente ritrovato tra le righe di cenere d’un vecchio album scolastico. Konradin von Hohenfels, c’era scritto: giustiziato tra le file della resistenza tedesca.



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