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Il mio ultimo giorno fu una Pasqua senza resurrezione. Ero tornato come un anziano professore di lettere, simile a un uccello con una cicatrice, a cui in America sarebbe presto nato un bambino e che già progettava di scrivere un romanzo… Speravo di ottenere un lasciapassare a un’altra vita e un risarcimento dalla precedente. Invece, il mio divorzio si trasformò nella spietata partitura di una tragedia greca.
A ognuno il suo monologo: i miei figli testimoni e giudici, con il loro miscuglio di implacabilità interesse sofferenza; il piccolo nipote, taciturno e grasso, le mani premute sul petto; i generi cinici e ambiziosi; mia moglie rinchiusa in un nosocomio dalla mattina che mi aveva ferito con un coltello per spezzare la mia ostinazione a essere uno, soltanto e sempre uno.
Un’odissea al rovescio la mia, dove non c’è posto per i ritorni e la famiglia è un’isola di violenze e di risentimenti che genera solo fragilità, odio, paura e follia. Non poteva che finire con un Argo smarrito e un Ulisse inforcato da un ciclope.



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