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Di razza sconosciuta e sconosciuta origine, ero nero, con la testa quadrata, le zampe molto lunghe, il pelo raso e una coda che spazzava via porcellane e rovesciava lumi. Arrivai in una gabbia lercia, per via mare, un giorno d’autunno. Avevo unghie di coccodrillo e denti affilati con i quali avrei potuto strappare la testa di un uomo in un solo morso. Invece ero affettuoso come un gattino, mi piacevano il prosciutto e la frutta candita e nessuno mi aveva mai sentito abbaiare. La mia capacità di crescita non conosceva limiti. Molti pettegolezzi mi volevano figlio di un cane e di una giumenta e la gente, da un momento all’altro, si aspettava che mi spuntassero ali e corna di drago. Morii per un coltello da macellaio infisso nella schiena. Come un dinosauro ferito. Ma il destino volle che il mio corpo conciato divenisse un originale regalo di nozze per la mia padrona: un immenso tappeto al centro di una casa abitata dagli spiriti, con la testa intatta e due occhi di vetro sbarrati per leternità.



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