200 personaggi in cerca d



Di me, ne hanno scritto anche sui giornali. Sono il Conde, il signore dei fiumi, quello che se ne va, di notte, sulla sua solida barca di legno, a ripescare gli annegati con una stanga e un arpione. Li tiro fuori dal Douro, o alla foce del Sousa e del Tamega, fino al marcio sudario del mare.
Il mio è un ufficio di pietà: dare sepoltura ai suicidi o a chi ha perso la vita come si perde una partita a carte. Ci vuole pazienza. Istinto. Dopo una piena, gli annegati si impigliano nelle pietre o nelle radici, ed è sempre meglio la sabbia del fango.
Ne ho tirati su tanti che la gente mi considera un benefattore. Anche la capitaneria mi ha dato una medaglia. E la fondazione Dona Maria De Ruz.
Se mi chiedi come è cominciata, bestemmio la Madonna del Buon Viaggio e ti dico che l’acqua «è amara di perdizione, distrugge tutto, anche i ricordi». Ormai mi è penetrata dentro le ossa: acqua dolce, salata, piovana, così tanta da infradiciarmi pure l’anima.
Perché la verità è che ho rispetto solo per la morte. Le donne, per me, sono una pietra al collo e non valgono niente, e al mio unico ramponiere (tutta la mia ciurma) una volta ho giocato uno scherzo feroce: gli ho organizzato un matrimonio con una squilibrata.
Ma è mio il destino peggiore. Per me non c’è neppure una polena da salvare dal fuoco, né un canto delle sirene. Nessuna pertica potrà disincagliare la mia solitudine.



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