200 personaggi in cerca d



Quando scrissi il mio ultimo diario di bordo, a cinquantasette anni, ero ormai una vecchia bussola che abitava l’isola di Madagascar, la pelle bianca e decrepita, la carcassa intorpidita. Ho seppellito tutti: Pew il cieco, e Billy Bones, e quegli idioti di Morgan l’Olonese e di Flint il capitano. Ma le mie mani, se sfilo i guanti di cuoio che ho sempre indossato per proteggerle dal sole e dal labirinto di cicatrici che segna tutti i marinai, sono le mani di un uomo istruito, marchiato a vita e non a morte come mi piace dire.
È a loro che ho affidato i miei ricordi: di quando Bristol era un covo di contrabbandieri; del tempo in cui ero il quartiermastro del Walrus; di come persi la gamba e guadagnai il soprannome di Barbecue; dei miei incontri con Defoe, archivista di uomini e di bucanieri, all’Angel Pub di Londra; della fierezza che illuminava i fianchi della mia Dolores; del modo in cui finii schiavo tra schiavi, e fui venduto, e mi affratellai a un guerriero sakalava; delle filastrocche sconce del mio pappagallo…
I miei comandamenti sono ancora due soltanto: non avere altro dio all’infuori di me e dire sempre falsa testimonianza. Perché per cavarsela nella vita, anche senza essere filibustieri, bisogna imparare a inventare e a mentire, ossia a saper raccontare una storia: «la cosa peggiore è restare muti e non avere risposte».
La mia esistenza è stata una navigazione stimata, un’isola del tesoro senza mappe. Ha avuto l’odore della lana bagnata, del rum, dell’acqua imputridita, della polvere da sparo. Niente di importante mi è mai uscito dalle orecchie. Ho dispensato in parti uguali allegria e terrore, ma mi piace credere che alla fine Long John Silver abbia saputo ispirare alla gente la cosa più importante: la voglia di vivere.
Un capitano inglese ha assicurato alla Regina di avermi visto saltare in aria insieme a un’intera scogliera. Ma in molti hanno ancora paura di incontrarmi per mare, su un veliero fantasma. Mi sono sempre dichiarato gentiluomo di ventura e nemico dell’umanità. In realtà fui pirata per scelta e non per fuga. Per essere padrone soltanto di me stesso. Perché era divertente alleggerire il mondo dalla peste degli armatori e degli schiavisti e commerciare solo la libertà.



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