Del mio caso ne parlano i giornali, e gli uomini sul traghetto che percorre la scura corrente del Nilo. Dicono che continuo a nascondermi nel deserto, e che a volte la sera si sente il mio fischio, ai tavoli del bar di Tarzan, un segnale convenuto per chiedere notizie e un po’ di cibo.
Qualcuno è sicuro di avermi visto girare tra le viuzze del Cairo con una uniforme da poliziotto. Qualcun altro giura di avermi riconosciuto sul canapè di un vecchio saggio, vestito con una gallabya stropicciata, o nella barba rasposa di un vecchio carcerato che cuce inutilmente la sua tristezza leggendo libri su libri.
La mia è la storia di uno spirito insonne che voleva raddrizzare l’ombra di qualcosa che in natura è curvo. Perché io sono solo un ladro, d’accordo, un uomo in fuga che abita la sabbia, ma non un cane né un farabutto. Io li inseguo, i cani. Non chiedevo altro che di morire di una morte giusta per vendicarmi del tradimento di mia moglie, di mia figlia, di un mio amico. Tutto quello che ho imparato, invece, è che non si tiene mai fede alla propria giovinezza e ai suoi ideali e che per desiderio di giustizia si può finire per uccidere solo la propria innocenza.


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