200 personaggi in cerca d



Di me dicono che sono un viaggiatore imprevedibile. Mi trovate agli interrogatori del quinto procuratore della Giudea o a colazione con Kant, o anche dentro al cassetto di un medico morto da un pezzo.
A Mosca mi presentai in un torrido plenilunio primaverile degli anni Trenta nei panni di un professore di magia nera, e cominciarono subito a rotolare teste, a piovere rubli, a involarsi poeti e cameriere. Mi accompagnavano un gatto nero che camminava sulle zampe posteriori e pagava il biglietto dei tram, una strega, un maestro di cappella e un signore di pelo rosso e di nome Azazello.
Ma il mio aspetto dava l’idea di qualche storpiatura e provocava come un lieve sbandamento, il senso sbilenco di un errore ottico. Un angolo della bocca mi pencolava da una parte; gli occhi si dividevano per colore: l’uno nero come il fondo di un pozzo, l’altro verde e acceso da uno zampillio di fuochi fatui; la fronte si allargava sull’intrico acuminato delle sopracciglia; i denti brillavano d’oro da un lato, dall’altro di platino; la voce correva bassa e rantolosa, interrotta qua e là dal fragore gutturale della mia satanica risata e dal mio collo oscillavano i geroglifici di uno scarabeo. Insomma, nell’insieme evocavo un’indefinibile zoppia e il contegno di una persona che soffre di reumatismi e si lamenta della solitudine. Ma come illusionista non avevo rivali: mi facevo chiamare Woland e del mio spettacolo d’arte varia ancora se ne parla presso l’Arbat. Nell’alluvione festante e indiavolata della fantasia, tra la nuda vanità delle donne e l’indecente fame di denaro degli uomini, smascherai la schizofrenia di una città di funzionari e di certificati dov’era normale rinchiudere la gente in cliniche psichiatriche. Sino al numero più difficile: quello di restituire i capolavori bruciati nelle stufe ai loro autori ingiustamente dimenticati.



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